Analisi multibody con MSC Adams per il trattamento di fratture del femore
Marco Venturini
La maggior parte delle fratture diafisarie di femore necessita di un intervento chirurgico per consentirne la totale guarigione. Uno dei possibili metodi di trattamento prevede l’uso dei chiodi endomidollari. Il trattamento e l’immobilizzazione precoce sono essenziali per ridurre il rischio di complicanze. Diversi lavori presenti in letteratura hanno dimostrato come un intervento di fissazione interno sia meno invasivo di uno esterno, pur garantendo una stabilità simile. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di studiare il comportamento dinamico di un dispositivo di fissazione interna, un nuovo modello di chiodo endomidollare autobloccante, con particolare attenzione alla quantificazione degli stress meccanici cui è sottoposto, e all’analisi di sue eventuali problematiche.

Lo strumento
L’analisi multibody mediante MSC Adams si è rivelata lo strumento fondamentale per la simulazione del modello del dispositivo di fissazione e per il suo posizionamento all’interno del femore.
Adams, software tra i più utilizzati per la dinamica multibody, supporta gli ingegneri nello studio della dinamica delle parti in movimento e nell’analisi della distribuzione di forze e carichi attraverso i sistemi meccanici. Le funzionalità di modellazione ed analisi disponibili in Adams consentono agli utenti di integrare componenti meccanici, pneumatici, idraulici, elettronici, e tecnologie di sistemi di controllo per costruire e collaudare prototipi virtuali che rappresentano con precisione le interazioni tra questi sottosistemi. Adams consente di simulare la fisica del mondo reale, utilizzando la tecnologia per la dinamica multibody, eseguendo dinamica non-lineare in una frazione del tempo richiesto dalle soluzioni FEM, migliorando l’accuratezza delle analisi di carichi e forze poiché consentono una loro valutazione ampia e completa della loro variazione all’interno dell’intero inviluppo di lavoro e di movimento nell’ambito operativo.
La simulazione
Dalle simulazioni si comprende l’importanza di tener conto della morfologia della superficie di contatto e dell’interazione del contatto tra segmenti ossei, impianto e viti. In particolare, dai risultati ottenuti è stato possibile individuare una serie di aspetti fondamentali. La chiusura del dispositivo evidenzia la proporzionalità tra forza necessaria per confinare gli stem all’interno della maschera e la forza di interazione stem-osso, per avere un aumento della seconda si ha necessariamente un aumento della prima. La geometria cosi costruita è stata dunque il risultato di un compromesso. La fase di apertura riporta invece problemi riguardanti soprattutto il contatto tra gli stem e la parete interna del canale midollare che avviene in un instante che non coincide con la fine dell’apertura ma prima, in un tempo che dipende dalla geometria dello stem e dalla sezione del canale midollare. Questo fenomeno provoca lo strisciamento degli stem lungo il canale stesso con possibilità di danneggiamento. I valori di forza di contatto in questa fase non superano i 42 N e considerando la rottura del femore umano in compressione lungo la direzione trasversale dal valore di circa 133 N per un area di contatto di 1 mm2 , si può concludere che questo valore di forza non provochi frattura dell’osso con questo valore di area di contatto, tuttavia nel caso reale il contatto avviene per una area anche superiore al mm2. La geometria ricurva nella parte terminale dello stem inoltre impedisce a questo di “incastrarsi” nella parete del canale midollare, favorendone lo scorrimento. Durante la prova di flessione i principali problemi riscontrati sono stati nel segmento distale di osso dove si ha avuto una flessione di 4.5° rispetto ai 0.6° di quello prossimale, dove questa era limitata dalla presenza dello stub. Questa ha causato un collasso degli stem più vicini al sito di frattura, fino ad interagire nuovamente con la maschera esterna e provocando anche una flessione di quest’ultima. Sebbene essa contribuisca al sostegno del segmento distale in quanto vincolata in modo rigido con lo stub, essa non dovrebbe entrare in gioco durante il normale funzionamento del dispositivo in quanto è stata progettata con la sola funzione di supporto per l’azione di chiusura ed apertura. Inoltre un suo contributo non previsto durante la simulazione può provocare fenomeni indesiderati e non prevedibili. Questa prova, quindi, pur avendo avuto un risultato migliore che nelle altre prove, non può comunque essere definita come soddisfacente per via dei fenomeni sopra elencati.
A differenza della flessione in cui gli stem erano sottoposti ad una forza principalmente di compressione, nella torsione essi non hanno un contatto pressoché localizzato sempre nello stesso punto, ma variabile. Visti i risultati ottenuti dalla torsione e accertata la rotazione del segmento distale, ci si è nuovamente imbattuti nel problema del trascinamento dello stem sulla parete del canale, ma a differenza di prima che avveniva una sola volta in quella precisa zona del canale e quindi si potevano trascurare gli effetti del danneggiamento della parete poiché minimi per un singolo passaggio, qui non possono essere trascurati. La presenza di cicli ripetuti di torsione durante la vita del dispositivo possono provocare una alesatura del canale se gli stem si trovano in contatto sempre con la stessa sezione come avviene in questo caso. Il difetto principale di non consentire un bloccaggio del segmento distale causa di conseguenza un altro problema altrettanto critico.
La prova di compressione risulta comunque la più problematica, dove vengono evidenziati i limiti di questo dispositivo. Si è visto dalle simulazioni come forze di compressione anche minime (10N), provocano una mobilità del dispositivo. È stato anche visto come la geometria stessa del canale midollare non aiuti in caso di carichi di compressione, vista la sua sezione crescente in direzione distale che riduce la presa degli stem sull’osso una volta che questo trasla prossimalmente. L’aver provato una geometria alternativa che garantiva con gli stem distali una forza di contatto maggiore, di valori prossimi ai 90N, non porta ugualmente a buoni risultati, dopo aver dimostrato anche in questa circostanza il fallimento del dispositivo per carichi dell’ordine dei 60N. Alla luce di questi risultati si può dunque concludere che il dispositivo così progettato mostra evidenti lacune se sottoposto a queste specifiche prove di flessione, torsione e compressione. Non è quindi possibile utilizzare questo dispositivo in pazienti che necessitano di mobilità fin da pochi giorni dopo l’operazione poiché si andrebbe incontro ad un probabile fallimento. Non può dunque sostenere carichi che si vanno a generare in una normale deambulazione, ma può tuttavia essere destinato per pazienti allettati e che non devono caricare la protesi. In queste simulazioni non è stato tenuto il considerazione l’osso spongioso in quanto può essere paragonato all’osso corticale da un punto di vista meccanico . Tuttavia in un possibile impianto in vivo del dispositivo non è da escludere un contributo dell’osso spongioso nel sito di contatto osso-impianto. A causa della caratteristica struttura trabecolare dell’osso spongioso possono venire a crearsi in questi siti delle cavità, dovute alla forza di pressione degli stem in espansione. Queste cavità contribuiscono a rinforzare l’interazione tra stem ed osso, portando ad un possibile miglioramento dei risultati provenienti da questo lavoro. Un possibile miglioramento da apportare a questo studio sarebbe quello di ricorrere ad una modifica nella parte progettuale della geometria, al fine di superare i limiti riscontrati da questa specifica configurazione. Inoltre si potrebbe studiare in modo più approfondito il contatto osso-impianto, modellizzando anche la componente spongiosa, per trovare una soluzione più vicina possibile alla situazione reale, ma comunque analizzabile in Adams.
Per gentile concessione di Marco Venturini
Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Biomedica – Politecnico di Torino