Correva l’anno
Marco Giachi
Nel febbraio 1986 il prof. Joseph Katz presentava un articolo al Congresso del SAE (Society of Automotive Engineers) dal titolo “Aerodynamic Model for Wing-Generated Down Force on Open-Wheel-Racing-Car Configurations”.
Erano passati quasi vent’anni da quando le ali erano apparse sulle vetture di Formula Uno (nel 1968) e cominciava l’epoca della simulazione e dei numeri che avrebbero soppiantato la creatività dei progettisti.

Il prof. Katz non lavorava in una squadra corse e tantomeno era dipendente di qualche casa automobilistica ma, piuttosto, si presentava con il biglietto da visita del NASA Ames Research Center di Moffett Field in California. Cosa avesse da spartire la NASA con le auto da corsa non mi è dato di sapere, ma è uno dei primi esempi di applicazione della CFD in ambito motorsport. Fu veramente il primo? Non lo so, ma sicuramente è uno dei primi documentati ufficialmente.
Il lavoro era fatto usando un codice potenziale a pannelli e non mi stupisce visto l’ambito aeronautico. È noto che in campo aeronautico i codici di questo tipo hanno sempre goduto un notevole credito perché gli aeroplani (corpi aerodinamici per definizione con flussi attaccati e scie di piccole dimensioni) si prestano bene a questo tipo di modellazione. Ma l’applicazione ad una automobile e, per giunta a ruote scoperte, aveva un grande numero di incognite. Lo stesso autore dell’articolo spiega che la scia delle ruote doveva essere imposta dall’esterno e bisognava sapere o assumere il punto di separazione… “ The model required simulation of the separated wakes… Separation line locations were assumed to be known from experiments or observation and, for simplicity, were fixed throughout all computations…”. Altri tempi! Eppure i risultati erano senz’altro interessanti. In particolare, si parlava delle ali e del loro progetto in presenza della carrozzeria e delle ruote, si diceva – onestamente – che la resistenza non si calcola correttamente e si concludeva che, seppur con tutte le limitazioni del caso, il calcolo numerico era già in grado di far risparmiare molte ore di galleria scremando per via teorica le configurazioni meno promettenti che, altrimenti, avrebbero impegnato ore di prove sperimentali.
Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Joseph “Jo” Katz e devo dire che è una persona veramente squisita ed uno studioso di primissimo piano, ma è soprattutto un ingegnere e tutti i suoi studi hanno sempre prodotto effetti pratici sulla tecnologia delle auto da corsa. Una figura di riferimento per il motorsport americano che, forse, non ha avuto uguali in Europa. Credo che negli anni ’70 ci siano stati anche contatti con la Ferrari ma erano tempi in cui il Commendatore non accettava “consulenti” sui quali non poteva esercitare un controllo diretto e di trasferimento in Italia neanche a parlarne (direi… comprensibilmente).
Se l’articolo del 1986 ha il merito di essere un precursore, ma ancora uno studio non legato ad alcun progetto specifico, un secondo articolo dello stesso autore del 1994 è (a memoria mia) il primo esempio di vettura progettata secondo un approccio moderno integrando ore di analisi numerica e di galleria del vento: il calcolo numerico diventa, con questa seconda esperienza, uno strumento di progettazione e cessa di esser solo uno strumento di studio teorico, come è detto chiaramente nelle conclusioni dell’articolo.
Il professore spiega che l’intero ciclo progettuale ha coperto un arco di 18 mesi ed è interessantissimo il diagramma che mostra l’evoluzione continua dei coefficienti aerodinamici fino ai valori finali CL=3.8 e L/D=5.399 che non sarebbe stata possibile con altrettanta efficacia con il solo utilizzo della galleria del vento come veniva fatto fino a quel momento. È interessante vedere anche altre applicazioni della prima CFD applicata alle auto da corsa. Se ci spostiamo in Europa, ed in particolare alla Porsche, gli anni ’80 sono gli anni della “spaventosa” 952 - evoluta nella 962 - della quale si citano più di cento corse vinte tra cui molte 24 Ore di LeMans (che è sempre il miglior biglietto da visita che una auto da corsa può presentare).
Una macchina disegnata completamente in funzione dell’effetto suolo nella quale tutta la carrozzeria era ottenuta adattando un profilo ideale a goccia ottimizzato per operare in presenza del suolo. Anche in questo caso c’è di mezzo una industria aeronautica perché la Porsche, per sviluppare un mezzo così estremo, pensò bene di rivolgersi alla Dornier ed è difatti un ingegnere di questa azienda (ing. Willy Fritz) che presentò al Congresso ICAS (International Council of Aeronautical Sciences), nel 1988, un articolo dal titolo “Numerical Simulation of 2-D Turbulent Flow Fields with Strong Separation”. In questo caso fu usato un codice N-S ma ancora I tempi non erano maturi per la simulazione completa tridimensionale e fu studiato solo un modello 2D della sezione di mezzeria della vettura.
Anche il confronto delle due diverse filosofie di semplificazione è interessante: da un lato si è preferito mantenere la tridimensionalità della configurazione sacrificando la generalità della fisica (e facendo affidamento su una esperienza ingegneristica in grado di integrare le semplificazioni delle equazioni usate), mentre dall’altro di è preferito mantenere un modello più complesso (viscoso, turbolento) ma semplificando la geometria analizzata.
Ovviamente il confronto con la situazione attuale è improponibile. Lo studio della Dornier l’ho rifatto io stesso perché mi serviva per integrare un articolo a carattere storico in cui si parlava di questa vetture e sono bastate poche ore con un H/W di tipo domestico ed un codice OS.
Sappiamo tutti che un N-S 2D incomprimibile oggigiorno è una bazzecola ma, anche per questo motivo, è interessante rivedere ogni tanto da dove siamo venuti.
[1] Katz J., “Aerodynamic Model for Wing-Generated Down Force on Open-Wheel-Racing-Car Configurations”, in “Aerodynamic: Recent Developments”, SAE SP-656, 1986.
[2] Katz, J., Dykstra, L., “Application of Computational Methods to the Aerodynamic Development of a Prototype Race Car”, SAE Technical Paper 942498, 1994.
[3] Fritz W., “Numerical Simulation of 2-D Turbulent Flow Fields with Strong Separation”, ICAS 1988.
Ci sono molti testi che parlano di aerodinamica delle vetture da competizione, ma questo del prof. Joseph Katz, pubblicato dalla BentleyPublisher (http://www.bentleypublishers.com), spicca per il livello del contenuto con molti grafici, diagrammi ed informazioni altrimenti difficili da recuperare. Si tratta di un testo a livello universitario e, quindi, richiede una minima conoscenza di base per essere compreso a fondo, anche se i primi capitoli sono introduttivi ai concetti fondamentali dell’aerodinamica ed accompagnano il lettore alle parti successive, più specifiche sulle problematiche delle auto da competizione. Il libro è in lingua inglese, ma ormai in ambito tecnico è questa la lingua di riferimento e quindi la lingua inglese non deve più essere vista come un fattore penalizzante per un libro tecnico. Un’altra lettura molto interessante, su suggerimento dello stesso prof. Katz, è rappresentata dall’articolo dove si parla dell’esperienza della Mazda RX-792P, e che può essere acquistato presso la libreria “on-line” della Società Americana dell’Automobile (SAE – Society of Automotive Engineering) al sito http://store.sae.org. L’articolo ripercorre la progettazione aerodinamica della Mazda per il Campionato GTP che si corre negli Stati Uniti e contiene validi riferimenti sui coefficienti aerodinamici di questa macchina e sulla loro sensibilità a condizioni di assetto anomale (assetto imbardato o cabrato).