La certificazione di strutture realizzate in materiale composito
N. 79 – marzo/aprile 2017

Ultimamente collaboro con un’azienda svizzera che sta progettando e costruendo (siamo al terzo prototipo) un elicottero le cui strutture sono interamente realizzate in fibra di carbonio. Il progetto è ambizioso e altamente innovativo tanto che, almeno dal mio punto di vista, se da un lato gli strumenti di calcolo utilizzati sono al passo con i tempi, dall’altro la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda la normativa o le direttive da seguire per ottenere la certificazione europea per un velivolo del genere. Mi spiego meglio, cercando di sintetizzare il più possibile.
Chi si occupa di meccanica del volo definisce quali sono le cosiddette «manovre» che il velivolo dovrà compiere e di conseguenza stabilisce le condizioni di carico «limite» che verranno utilizzate nel modello strutturale, sia esso basato sul Metodo degli Elementi Finiti oppure estratto dalle relazioni semiempiriche reperibili nei vari manuali di progettazione, oppure ancora da una combinazione di entrambi. Dalle condizioni limite si ricavano poi le condizioni «ultime», moltiplicando i valori delle forze in gioco nel caso limite per un coefficiente pari a 1.5. Infine, una volta che il modello di calcolo ha prodotto i suoi risultati, è necessario determinare i Reserve Factor (RF) e i Margin of Safety (MS) dei vari componenti, siano essi pannelli, rivetti, viti, supporti, ecc. In generale i RF sono calcolati rispetto allo snervamento del materiale e i MS sono determinati rispetto alla rottura.
Ora, avere dei RF superiori a 1 garantisce che la struttura lavori in campo elastico nelle sue condizioni di esercizio con punte al «limite», mentre avere dei MS maggiori di 0 stabilisce che la struttura rimanga integra, sebbene con deformazioni permanenti anche importanti, qualora per qualche motivo i carichi limite siano stati superati (ad esempio per atterraggi di emergenza). È ovvio che fare questa distinzione per materiali che presentino ben chiari e separati valori «limite» e «ultimi» non è cosa difficile. Ma come comportarsi con un materiale composito, in cui le fibre, annegate in una resina «plastica» per definizione, hanno invece un comportamento decisamente di tipo fragile? Quali valori ammissibili vanno usati nel calcolo dei RF e dei MS, se il fornitore del materiale rende disponibile solamente un dato (solitamente la rottura) e se anche facendo prove mirate diventa difficile discernere tra valori limite e ultimi? Ecco che qui le normative e le direttive lasciano i progettisti un po’ abbandonati a se stessi nello stabilire come comportarsi per il calcolo dei RF e dei MS da inserire nelle relazioni di calcolo che faranno parte della documentazione da presentare alle autorità competenti per ottenere la certificazione.
Tutto questo per sottolineare, ancora una volta, come simulazioni sofisticate e dettagliate possano essere vanificate da diversi fattori, in questo caso specifico dalla mancanza di precise indicazioni su come utilizzare al meglio i risultati da esse generati con lo scopo di realizzare un prodotto sicuro per il volo.
— Claudio Gianini